Da una poesia di Cristina Alziati: le possibilità della fotografia di Carola Allemandi
Terza lettera ad Antigone
tratta da Come non piangenti, Marcos y Marcos, Milano 2011
Non ti mando la foto, ti descrivo.
Sulla riva, distesi sotto il sole, vedi,
i bei bagnanti, e i pueri, e il cadavere
poco discosto, soltanto dall’acqua lambito.
Non fosse per i vestiti – per gli stracci –
diremmo che è uno del gruppo, fra quelli
ridenti, uno vivo. È un giorno di festa.
Arriveranno gli addetti, più tardi,
a sgomberare quel corpo; altrove
si sbrigherà una pratica,
faranno un’autopsia, verrà inumato.
Questo però non c’è, nella fotografia.
E nemmeno la bava, domani, dei giornali
né la pena beghina per quel morto,
“zingaro – dirà qualcuno – ma bambino…”
C’è questa roccia, invece
fra il cisto e i rosmarini,
questa roccia residua da cui scrivo,
e dentro l’aria una preghiera
e il mare intero, lento
che prima degli addetti il corpo
si porta via, l’istante prima.
C’è il resto del paesaggio a sua custodia.
Le possibilità dentro una fotografia: infinite, paiono dire i versi di Cristina Alziati (Milano, 1963), e limitatissime allo stesso tempo. Dentro una fotografia ci possono entrare poche cose, i pochi elementi tangibili, visti ed estratti da un contesto molto più ampio che andranno poi a comporla. La fotografia si può dire che poggi sulla necessità che qualcosa di reale le parli, che sia uno scoglio o un animale, un uomo o blocco di cemento; e a partire da questo punto si può anche dire allora che tutto ciò che non parla - che non parla ancora, che non lo fa in quel momento, che non lo farà mai - non può essere fotografato in quanto elemento intimamente muto.
Ancora, non possono entrarci gli elementi pensati, presumibili, già noti in partenza ma non ancora avverati e per questo non ancora possibili da immortalare.
“Non ti mando la foto, ti descrivo.”: la descrizione di una visione crea autonomamente quella che potrebbe essere una fotografia, l’immagine reale di quanto è stato visto. Esiste un corpo ed esiste il mare in un’immagine, esiste la roccia su cui poi si potrà salire per scrivere questa stessa descrizione; esiste tutto, l’aria, il paesaggio intero che a poco a poco si riesce a scorgere col pensiero e quindi anche con gli occhi, tutto ciò che parla, in una fotografia.
Una fotografia può essere la sua stessa immagine negata - non ti mando la foto - può essere la grammatica usata per evocarne il senso, i punti reali in cui qualcosa da descrivere è avvenuto. Le impossibilità della fotografia, anche questo ci dice Alziati, stanno in tutto ciò che, per quanto presumibile, resta inimmaginabile: le azioni che verranno - la burocrazia, l’autopsia, lo sgombero del corpo inerme, bambino, a cui i giornali si aggrapperanno per le prossime notizie - “Questo però non c’è, nella fotografia.” Ciò che non può essere immaginato allora è tutto ciò che neanche parla, e per questo non può entrare in una visione condivisa, fotograficamente o verbalmente, e, rimanendo disancorato da ogni lessico, non potrà neanche tramutarsi in racconto, testimonianza.
Ciò che si vede equivale allora a ciò che si immagina, basta che qualcosa ci parli: che ci descriva, appunto, che ci faccia vedere.
Alziati allora, che ha pur visto quella sua fotografia, diventa l’artefice, parlandone, della sua stessa invenzione, l’autrice vera, e noi che ora la leggiamo. La fotografia cui ci sottopone è infatti quella che per processo naturale inizia a materializzarsi ad appena il terzo verso, rendendo possibile finalmente al dodicesimo l’avvento della visione concreta. La fotografia allora è qualcosa che può prendere forma in più fasi, per poi apparire all’improvviso come fa la visione stessa, farsi dal nulla e dalla parola. La fotografia di Alziati inizia a comporsi per sottrazione - metodo fondativo sia della fotografia, che della poesia - eliminando ciò che già non c’è, per poi trovare negli sforzi finali l’appiglio concreto grazie a cui affermarsi - “C’è questa roccia, invece” - e rendendo possibile la seconda fase della gestazione, in cui gli elementi necessari entrano finalmente in possesso dei propri margini definitivi. Il mare, l’aria, il corpo, il paesaggio, sono le infinite possibilità immobilizzate infine per poter raccontare; la roccia da cui Alziati inizia questa descrizione il primitivo supporto tecnico - antecedente a ogni invenzione meccanica e chimica - grazie al quale può iniziare a nascere a un tempo la visione, la parola, e la fotografia.
Carola Allemandi