Milo De Angelis - poesie
foto di Viviana Nicodemo
In occasione del compleanno di Milo De Angelis, ParolaPoesia propone una selezione di poesie tratte dalle varie opere del grande poeta a partire da "Somiglianze" del 1979 fino ad arrivare a "Linea intera, linea spezzata" del 2021.
Infiniti auguri maestro!
da Somiglianze (1976)
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Verso un luogo
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Essere primi senza secondi
di sera, sulla neve, con lo sguardo
sempre più orizzontale in lontananza, non è mai
previsto ritornare
in questo condividere senza divisione, istante
immotivato:
innocente e infedele, perché lì non c’è
sosta e manca soltanto un passo
per giungere all’inizio.
Chiunque entri
verrà riconosciuto, con amore.
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da Millimetri (1983)
I bastoni
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I bastoni
hanno frantumato l’ultimo secchio
e ora il villaggio fa
silenzio
nella corte marziale. Ecco
l’inchiostro, tra una moltitudine
di assetati in orario,
un cognome:
tutte le uova molli
giungeranno
per forza o per disprezzo
e quel
faraone darà la staffilata
che ancora oggi ferisce
e le fa terrestri.
Chi genera il tempo
ha il volto arato e con pazienza ripete
che noi ubbidiamo.
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La testa cade a piombo
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La testa cade a piombo
e si slaccia
nel pomeriggio strappato
al pensiero
ogni maniglia si aprì, fece silenzio.
Noi fermiamo lì una guerra
con navi serene e gelide.
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Non puoi tacere
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Non puoi tacere
su questo monte
noi verremo arati
in pace e tra gli uccelli.
Il bianco vola via e quei denti
sanno, filo impugnato
dalle eternamente plurali
quando
ci deposero veri: non caddero,
nemmeno allora, trattennero
il sole nella seconda, nella terza gola.
Era questo l’inverno
gettato
con un giornale antico, fratello. Esso
nel cestino di luce
muore e sgorga
da lì, dalla pettinatura.
E io parlo della terra
a una candela;
di te e di noi, di noi soli, creati.
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da Terra del viso (1985)
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Nei polmoni
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La coperta, la sua forza, mentre crescevamo
O gli occhi che ieri furono ciechi,
oggi tuoi, ieri l’inseparabile. Le fiale,
il riso in bianco diventano l’unico
mondo senza simbolo. Materia che
fu soltanto materia, nulla che
fu soltanto materia. Vegliare, non vegliare, poesia,
cobalto, padre, nulla, pioppi.
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da Distante un padre (1989)
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Alla testa ondeggiante nel mirino
preferimmo una
malattia di gradi freddi e sottrazioni: è
odio anch’essa, lo so, ma questo
fuscello si fa idea inseguendola per
un anno di limbo. E noi, applausi
scoloriti, abitammo la notte,
la sfuggente, meravigliosa pedana. Penetrazione
di sole in grano, che è madre. Superstite
che si chiama padre.
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da Biografia sommaria (1989)
Cartina muta
Ora lo sai anche tu
lo sappiamo
mentre stiamo per rinascere
Franco Fortini
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Entriamo adesso nell’ultima giornata, nella farmacia
dove il suo viso bianco e senza pace non risponde al saluto
del metronotte: viso assetato, non posso valicarlo,
è lo stesso che una volta chiamai amore, qui
nella nebbia della Comasina.
Camminiamo ancora verso un vetro.
Poi lei getta in un cestino l’orario e gli occhiali,
si toglie il golf azzurro, me lo porge silenziosa.
«Perché fai questo?»
«Perché io sono così», risponde una forma dura della voce,
un dolore che assomiglia
solamente a se stesso. «Perché io…
né prendere né lasciare.» Avvengono parole
nel sangue, occhi che urtano contro il neon
gelati intelligenti e inconsolabili,
mani che disegnano sul vetro l’angelo custode
e l’angelo imparziale, cinque dita strette a un filo,
l’idea reggente del nulla, la gola ancora calda.
«Vita, che non sei soltanto vita e ti mescoli
a molti esseri prima di diventare nostra…
… vita, proprio tu vuoi darle
un finale assiderato, proprio qui, dove gli anni
si cercano in un metro d’asfalto…»
Interrompiamo l’antologia
e la supplica del batticuore. Riportiamio esattamente
i fatti e le parole. Questo,
questo mi è possibile. Alle tre del mattino
ci fermammo davanti a un chiosco, chiedemmo
due bicchieri di vino rosso. Volle pagare lei. Poi
mi domandò di accompagnarla a casa, in via Vallazze.
Le parole si capivano e la bocca
non era più impastata. «Dove sei stata
per tutta la mia vita…» Milano torna muta
e infinita, scompare insieme a lei, in un luogo buio
e umido che le scioglie anche il nome,
ci sprofonda nel sangue senza musica. Ma diverremo,
insieme diverremo quel pianto
che una poesia non ha potuto dir, ora lo vedi
e lo vedrò anch’io… lo vedremo… lo vedremo tutti… ora…
ora che stiamo per rinascere.
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da Il tema dell’addio (2005)
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L’essenza della carne ferita
vagava tra due muri,
l’amore usciva
dal presente e il lenzuolo
dei volti era lì, ed era cemento
tra le dita ed era buio
tutta la luce era chiusa
nel petto, tutte le parvenze
della rosa, tutta la forza
dell’ora persa.
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Noi che abbiamo conosciuto
il cuore di ogni giorno e il cuore senza età ,
l’idea che illumina la carne,
la sapienza delle misure
e il lampo, noi ci lasciamo
qui, in due metri di cemento, con un atto
di presenza, un battito
estivo, uno scambio di persona.
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da Quell'andarsene nel buio dei cortili (2010)
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Per Viviana Nicodemo
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Ho saputo, amica mia,
che sei stata in un limite. Anch’io
negli intervalli di una sola e grande morte dormivo tra i casolari
dove si raccolgono d’inverno
con la parola disunita e il fitto
delle idee: entrava
un profumo di uva passa e la neve dell’incontro ha percepitola
mia notte nella tua.
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da Incontri e agguati (2015)
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Questa sera ruota la vena
dell’universo e io esco, come vedi,
dalla mia pietra per parlarti ancora
della vita, di me e di te, della tua vita
che osservo dai grandi notturni e ti scruto e sento
un vuoto mai estinto nella fronte, un vuoto
torrenziale che ti agitava nel rosso dei giochi
e adesso ritorna e ancora ritorna
e arresta la danza delle sillabe
dove accadevi ritmicamente e tu
sei offeso da una voce monocorde e tu
perdi il gomitolo dei giorni e spezzi
la tua sola clessidra e ristagni e vorrei
aiutarti come sempre ma non posso
fare altro che una fuga partigiana da questo cerchio
e guardare il buio che ti oscilla tra le tempie e ti castiga,
figlio mio.
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da Linea intera, linea spezzata (2021)
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Udienza
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E tu cominci a sentire, nelle parole che hai detto, il respiro
di quelle taciute: sono lì, sono lì, bussano alla porta
non se ne vogliono andare, restano ferme fino a sera,
ti sfiorano il viso e si allontaneranno solo all’alba.
Restano lì e la stanza diventa un’aula di tribunale e tu
sei l’imputato. L’accusa è sempre la stessa: il silenzio.
Le attenuanti non contano: dovevi parlare, dovevi
tirar fuori la bestia, esporre il demone nero al pubblico giudizio,
mostrarlo alla primavera, spargerlo per il mondo, guarire.
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