L’inchiostro delle mappe di Luis García Montero
Luis García Montero
L’inchiostro delle mappe - Antologia 1982-2020 - Ed. La vita felice 2022
a cura di Cinzia Marulli e Mario Meléndez
con il patrocinio della Fondazione Vicente Huidobro
Traduzione di Emilio Coco
Selezione e introduzione di Remedios Sánchez
ISBN/EAN 9788893465984
Luis García Montero e la poesia per esseri normali
Remedios Sánchez-García
Università di Granada
Leggo Luis García Montero (Granada, 1958) da quando ero adolescente. In Spagna la poesia figurativa, e in questo caso concreto la denominata “Poesia dell’Esperienza”, ha in Luis il suo miglior esponente, un leader generazionale capace di trasformare in necessario il genere poetico che per tanti anni fu contingente. Più tardi, negli anni come studentessa di Filologia Ispanica nella Facoltà di Filosofia e Lettere, ebbi l’opportunità di ascoltarlo nella sua qualità di docente e di essere sua alunna (un’alunna discreta, di quelle che ascoltano per cercare di sviscerare quello che si nasconde dietro ogni parola). Il professore García Montero spiegava gli autori della Generazione del 27 (Lorca, Alberti, Cernuda, principalmente) con un entusiasmo insuperabile, con la passione che dà la conoscenza, come direbbe Jaime Gil de Biedma, il principale autore della Generazione del 50 e uno dei suoi referenti. Luis abitava (e continua a farlo) la poesia, in permanente dialogo con la tradizione che tanti del suo tempo rinnegarono.
Perché Luis è stato, in tutto, un rivoluzionario. Quando nella Spagna della fine degli anni settanta, così delusa dalla sperimentazione culturalista portata avanti dai Novissimi, arrivano gli autori dell’Altra Sentimentalità, formulata a partire dalla prospettiva del post-strutturalismo althusseriano della “radicale storicità della letteratura” che avrebbe sviluppato l’immenso professore e teorico che fu Juan Carlos Rodríguez (1999: 55), inizia un cammino che avrebbe portato una boccata d’aria fresca, un cambiamento di rotta nella poesia contemporanea. I nomi chiave furono un giovanissimo Luis García Montero e Javier Egea (morto prematuramente nel 1999 e che evolse verso un processo di radicalizzazione ideologica marxista evidente nelle sue opere). Entrambi tornano a fare una letteratura vicina all’essere umano, impegnata con la realtà, capace di iscriversi nel contesto in cui si produce. La teoria su cui si basa è il frutto delle impostazioni del rimpianto professore Juan Carlos Rodríguez, che la spiegò chiaramente pochi mesi prima della sua prematura morte:
[…] di fronte alla parola poetica dell’essere heideggeriano o delle forme pure o impure del kantismo o delle avanguardie artistiche e politiche (includendo il volontarismo della poesia utile o inutile), in mezzo a tutto questo mare magnum, sembrava evidente che si avesse bisogno di una parola radicalmente storica ((J. C. Rodriguez, 2016: 14-15).
Ed è quella parola storica che apporta l’Altra Sentimentalità. Dopo la dittatura franchista ci troviamo, secondo me, di fronte al primo tentativo serio di costruire un discorso poetico vincolato alle circostanze storico-sociali e culturali capitalistiche che sorgono agli albori della nostra democrazia. Ma c’è di più: si ricordi che García Montero era allora un ragazzo residente a Granada. E Granada, a quei tempi, era una città dove si respirava ancora un’aria di chiusura provinciale e franchista (ma con l’ansia di rinnovarsi e ricuperare il tempo perduto) e che non aveva ancora elaborato il lutto per l’assassinio del geniale García Lorca, che ebbe luogo il 18 agosto del 1936. In effetti, a volte ho la sensazione che ci siano ferite non ancora chiuse quarantacinque anni dopo che la democrazia abbia portato una brezza nuova, un’aria pulita e rinnovate ambizioni di costruire un futuro diverso.
Si spiega così la trascendenza del Manifesto dell’“Altra Sentimentalità”, un documento teorico fatto nella città dell’Alhambra e che vide la luce nel 1983, nel momento in cui i componenti fondatori (García Montero, Javier Egea, Álvaro Salvador) cominciavano ad affrontare nuovi percorsi letterari, ma che venne a sostanzializzare una vera riconcettualizzazione dei termini di quel nuovo discorso poetico che finì con l’influire su tutto il paese e col riformulare i termini. Ci troviamo, cioè, davanti a un nuovo modo di intendere la letterarietà che si espande da Granada nel resto della Spagna, dando un protagonismo alla città che solo aveva ottenuto prima con García Lorca, che tanta influenza ha in García Montero, come egli stesso ammette:
Federico García Lorca ha planato sempre sulla mia vita, con un volo inquietante, caldo, senza appena battere le sue ali di velluto. Il mio debito personale, storico, con la sua poesia è impagabile. […] In questo labirinto di coincidenze la mia ombra si è smarrita o è rimasta assorta, all’improvviso, tremando di fronte agli specchi. Nella febbre poetica, nel dolore di luce, nella costante intuizione della morte, nella tragica passione di vivere, ci siamo trovati a ogni passo” (1988: 24).
Ma, a parte Lorca, risultano evidenti nel nostro autore le letture assimilate di Antonio Machado (specialmente della voce del suo apocrifo Juan de Mairena), di Rafael Alberti, di Luis Cernuda, di Blas de Otero e Gabriel Celaya, di Jaime Gil de Biedma o di Ángel González, interpretate a partire dalla realtà ideologica contemporanea e delle sue problematiche sociali. Così dice García Montero:
I poeti giovani si sentirono portati a riconoscere ciò che di buono aveva avuto la poesia del dopoguerra, soprattutto quella degli anni cinquanta, e cercarono una poesia verosimile legata all’esperienza estetica della realtà e aperta agli altri, non tanto per fare concessioni al pubblico, ma perché i poeti pensarono a sé stessi come esseri normali (1990: 9).
Con l’evoluzione da “L’altra Sentimentalità” (vi si possono includere unicamente i suoi versi di Tristia) alla forza della “Poesia dell’Esperienza” intesa come tendenza egemonica negli anni ottanta e inizi dei novanta, un giovanissimo Luis si converte progressivamente nel poeta più importante e più popolare (che, anche se può sembrare, non è la stessa cosa) della Spagna. Di questo periodo sono le sue opere capitali per capire il nostro divenire letterario come Diario cómplice (1987), Las flores del frío (1991), Habitaciones separadas (1994) e Completamente viernes (1998), che segnarono tutta una generazione di lettori e ‒ bisogna pure dirlo ‒ di molti futuri scribacchini di versi.
Per questa ragione, l’attento lettore noterà che abbiamo selezionato diverse composizioni di queste opere, versi imprescindibili che fanno parte ormai dell’immaginario collettivo spagnolo, della nostra memoria sentimentale. La chiave per suscitare l’interesse del pubblico va ricercata nelle riflessioni esposte dallo stesso autore per spiegare la sua poetica: “Se vogliamo che la gente si senta interessata alla poesia, è necessario che la poesia dica cose, maneggi segni, nomini realtà capaci di interessare la gente, cioè, che le parli delle sue esperienze possibili e delle sue preoccupazioni” (1994: 236). Effettivamente. Luis dà prova di una capacità eccezionale nello scrivere poesia per persone normali, ambientandola in un contesto in cui la città è complice della parola poetica. Persone semplici che lavorano, s’innamorano, si rilassano nei bar, hanno sogni e illusioni e riflettono mentre si guardano allo specchio la mattina.
Quanto detto prima non significa che l’autore sia il protagonista testuale e racconti la sua vita, ovviamente. Questo deve essere ben chiaro: il poeta scrive a partire dalla sua razionalità, dalla sua conoscenza della vita e delle circostanze; ma progressivamente si allontana dal testo primigenio, lo va rielaborando fino a convertirsi in una sorta di fingitore (secondo come lo intendeva Pessoa), nel soggetto che formula un personaggio che fa da protagonista vero e con il quale si identifica il lettore instaurando un legame di complicità; tutto ciò, certamente, a partire dalla “astrazione dell’involucro figurativo dell’aneddoto per estrarre da esso ciò che ha di universale” (Rodríguez, 1999: 104). Vale a dire che andiamo dal particolare al collettivo. Prendendo in considerazione un altro dato, gli scrittori che affrontano il processo di creazione da questa posizione, perpetuano quanto diceva Eliot secondo cui, anche se la poesia non è esattamente la rappresentazione del discorso colloquiale della strada, deve comunque risultare un’imitazione molto vicina per far sì che il lettore si identifichi con la voce poematica. E in García Montero questo avviene.
Una volta esaurita la “Poesia dell’Esperienza” e il realismo più chiaro verso la metà degli anni novanta, il nostro granadino avanza nella sua personalissima voce per sviluppare nuove formule con una componente di maggiore narratività, ma senza perdere mai la sua essenza, il suo chiaro impegno con l’essere umano, in questo tempo nuovo con un linguaggio più intimista e riflessivo come si percepisce in La intimidad de la serpiente (2003) e in Vista cansada (2008). Vale a dire che Luis progredisce, ma senza smettere mai di essere un ribelle (a ragione, nella Spagna degli anni novanta e nel primo decennio del XXI secolo) che biasima la perversione dei valori usando un’ironia realista in cui ragione, memoria e illusioni confabulano armonicamente nello sviluppo del personaggio poematico. Come già scriveva in un saggio precedente,
sono la realtà e il desiderio (la non accettazione di quella realtà come immutabile) che si fondono dentro una poesia dove si può riconoscere il lettore-spettatore, ma senza perdere la coscienza/conscienza ideologica che le circostanze avrebbero potuto essere in un altro modo e che il poeta sta facendo Letteratura con un impegno etico e sociale (Sánchez García, 2018: 184).
Poi, man mano che avanza il XXI secolo, la poetica garciamonteriana sembra essere spinta da una volontà di spogliamento che s’intravede nelle precedenti raccolte e che avanza verso un tono introspettivo e intimista che si consolida nella lunga poesia in prosa Balada en la muerte de la poesía (2016) e, specialmente, in A puerta cerrada (2017). Se in Balada en la muerte de la poesía si lamentava della morte del genere poetico, con la sua ultima opera pubblicata finora fa un passo in più nel cercare di difendere l’identità, l’io, di fronte alle strutture sociali capitaliste che l’offuscano. In quest’opera, la prima cosa che richiama l’attenzione è il titolo, chiaramente un omaggio intenzionale a Sartre e alla sua opera omonima. Ma mentre nel dramma sartriano “l’inferno sono gli altri”, qui l’inferno è nell’io, in quel vivere in un mondo di apparenze che nasconde la propria identità, in quel panico per il vuoto che costringe a mettersi la maschera.
E questo converte la vita giornaliera nell’inferno della lotta tra l’io intimo (l’essere) e l’io sociale (il fingere di essere). Partendo da questa dualità frutto dell’inconscio collettivo, García Montero usa l’immagine e la metafora attraverso un io tale da risultare assumibile dalla collettività come finzione credibile socio-storicamente con lo scopo di erigere un’opera tematicamente e formalmente unitaria con la quale chi scrive fa in modo che il lettore prenda coscienza di fino a che punto ci stiamo distruggendo in un tempo, quello della post-verità, che ha convertito la menzogna, l’atteggiarsi, in consegna di vita. Per questo l’autore si è rinchiuso in sé stesso, come i personaggi di Sartre, indagando dal suo io lucido, sulla condizione di una società che ha permesso che le rubino i sogni e la trascinino in una crisi che trascende il fatto economico.
Siamo di fronte a un’opera carica di domande profonde, amare, a momenti asciutta, malinconica e chiaramente necessaria in questo tempo di crisi di valori, ma con un margine di fede nelle possibilità infinite se c’è un impegno sociale per cambiare la realtà in cui viviamo. Perciò, se la poesia è uno stato d’animo, l’animo del personaggio di García Montero (“padre di mondi liberi / poeta e perdonato” come dice in ‘Epitaffio’) non perde la speranza della necessaria riumanizzazione, di restituire di nuovo alla poesia la sua funzione di ribellione collettiva per far risorgere l’individuo e la sua verità profonda dalle ceneri della postmodernità.
Quest’antologia non ha alcuna pretesa di esaustività. Come ogni selezione raccoglie le poesie imprescindibili di chi ne fa la scelta, ma prendendo in considerazione anche (e questo è poco frequente) le opinioni di altri studiosi e antologisti e scegliendo poesie da tutte le opere (eccetto le raccolte in prosa o quelle composizioni che, per la loro estensione, risultava complicato includerle qui, come la Égloga de los dos rascacielos, che invito a leggere) e di tutte le tappe di Luis García Montero, un autore ormai essenziale nella poesia spagnola del XX secolo, che è venuto a democratizzare la lirica, ad avvicinarla al cittadino comune con una scrittura vera e impegnata con la realtà dell’essere umano.
El envés de la trama
Nosotros los Montero, tuvimos en común
el lento amanecer de la calle Lepanto
y algunos pocos mitos que ocuparon
lugar en nuestra mesa.
Empezar por Chopin
sería necesario: como un reloj su piano,
la caricia de ese cuerpo invisible
que es el tiempo, cuando la vida entonces
era sólo una anécdota y el futuro quizá
aún estaba en su sitio.
Il rovescio della trama
I Montero abbiamo avuto in comune
il lento albeggiare di via Lepanto
e alcuni pochi miti che occuparono
un posto alla nostra tavola.
Cominciare da Chopin
sarebbe necessario: come un orologio il suo piano,
la carezza di quel corpo invisibile
che è il tempo, quando la vita allora
era solo un aneddoto e il futuro forse
stava ancora al suo posto.
Che si preparava in Firenze
o la tarde por fin lluviosa
de un 24 de febrero
Bajo la lluvia
es distinta la ciudad que pisas.
Como huellas,
como pasos gigantes te circundan los charcos
y te llevan allí
donde rompe el abrazo.
Porque has bajado al día,
al día con sus casas por el suelo,
porque te han sorprendido las ventanas
mirándote dobladas y borrosas
debajo de tus pies,
mientras la última luz anida en las aceras
y la piel de la tarde
se estrella contra ti, serenamente;
porque todo es hermoso como el deseo antiguo
y tus labios de cera son ahora el pasado,
la nieve de un invierno que no existe,
finalmente parece
que todo resucita.
Si además
nos viniera la historia distinta y con tus ojos,
si pudiera decirte
que el acto de vivir es más sencillo,
porque vuelven sin eco los segundos
y la pared gotea al tiempo de la noche,
entonces camarada
si estuvieras conmigo tal vez te sugiriese
que la ciudad se duerme flotando en el asfalto,
que todo está tranquilo,
que nos une al futuro
algo más que está débil mirada de tristeza
y nosotros volvemos
allí donde Firenze se rompe en el abrazo.
Che si preparava in Firenze
o il pomeriggio finalmente piovoso
di un 24 febbraio
Sotto la pioggia
è diversa la città che percorri.
Come impronte,
come passi giganti ti circondano le pozze
e ti portano lì
dove rompe l’abbraccio.
Perché sei sceso nel giorno,
nel giorno con le sue case per terra,
perché ti hanno sorpreso le finestre
guardandoti piegate e appannate
sotto i tuoi piedi,
mentre l’ultima luce si annida nei marciapiedi
e la pelle del pomeriggio
si schianta su di te, serenamente;
perché è tutto bello come il desiderio antico
e le tue labbra di cera sono adesso il passato,
la neve di un inverno che non c’è
e sembra finalmente
che ogni cosa risusciti.
Se inoltre
ci arrivasse la storia diversa e coi tuoi occhi,
se potesse dirti
che l’atto di vivere è più semplice,
perché senz’eco tornano i secondi
e la parete gocciola nell’ora della notte,
allora compagno
se tu stessi con me forse ti direi
che la città si addormenta fluttuando sull’asfalto,
che è tutto tranquillo,
che ci unisce al futuro
qualcosa in più di questo debole sguardo di tristezza
e noi torniamo
lì dove Firenze si rompe nell’abbraccio.
Canción superviviente
Yo no sé qué dirección le dijo,
pero el taxi parece
conocer su camino.
En el cielo de octubre,
guarda sombras la luna
de reloj detenido.
Yo no sé,
mientras quise besarla,
qué dirección le dijo.
Pero duermen los pájaros
con perfil de gaviota
y el viento deja huellas
de paseo marítimo,
en la noche profunda
de la ciudad que vivo,
que yo vivo.
Guarda sombras la luna
de reloj detenido.
El taxista parece
conocer su camino.
Se detiene en la orilla
de un paseo marítimo,
aunque el mar no me espera
donde habían previsto,
ni abraza las sandalias
de la sombra que sigo,
que yo sigo.
Barco sin agua, peces
con mirada sin brillo,
objetos en postura
de seguir sumergidos,
caracolas, naufragios
y el pañuelo de un niño.
El mar estuvo aquí.
Ha desaparecido.
Suena de nuevo el curso
tranquilo de los ríos.
Despunta el sol de octubre
al fondo del camino.
Quizás vuelva mañana.
Yo la sigo.
Canzone sopravvissuta
Io non so che indirizzo gli diede,
ma il taxi sembra
conoscere la strada.
Nel cielo di ottobre,
conserva ombre la luna
di un orologio fermo.
Io non so,
mentre volli baciarla,
che indirizzo gli diede.
Ma dormono gli uccelli
con profilo di gabbiano
e il vento lascia tracce
di lungomare,
nella notte profonda
della città che vivo,
che io vivo.
Conserva ombre la luna
di un orologio fermo.
Il tassista sembra
conoscere la strada.
Si ferma al bordo
di un lungomare, anche
se il mare non mi aspetta
dove avevano previsto,
né abbraccia i sandali
dell’ombra che seguo,
che io seguo.
Nave senz’acqua, pesci
con uno sguardo opaco
oggetti che continuano
a essere sommersi,
conchiglie, naufragi
e il fazzoletto di un bimbo.
Il mare è stato qui.
È scomparso.
Suona di nuovo il corso
tranquillo dei fiumi.
Spunta il sole di ottobre
in fondo alla strada.
Forse torna domani.
Io la seguo.