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Marzia Spinelli - "Trincea di nuvole e d'ombre" (Marco Saya Edizioni 2019)

Una questione annosa: in che cosa deve eccellere la Poesia per essere definita davvero grande, capace di emozionare, di suggestionare, ma anche di portare “oltre”, fare riflettere il lettore, tutti i lettori di ogni genere e nazionalità che riescano, tramite i versi, a coniugare incantamento e pensiero, collegare l’emozione che divampa e scuote l’anima con la razionalità che lavora nel cervello e lo stimola ad argomentazioni personali. È ardua questione poiché spesso si innestano situazioni di grande soggettività, di gusto personale; nelle nostre opinioni siamo inevitabilmente legati, magari in maniera subliminale, ai condizionamenti dello spirito dei tempi, forse anche a quelli di epidermiche mode passeggere.

La poetessa che presento oggi, Marzia Spinelli, è voce che va oltre la contingenza dell’attualità, è voce unica da sempre, fin dal suo esordio felice nel 2009 con Fare e disfare - Edizioni LietoColle - in cui il recensore Plinio Perilli puntualizzava la rarità di quest’opera, nuova in quanto poesia fuori dagli schemi consueti e acutamente affermava che Marzia Spinelli “solfeggia i propri versi e insieme se ne libera, li affranca da tutti i canoni e i luoghi comuni, di cui la poesia non ha mai bisogno, meno che meno per vedersi concedere plausi ed attenzioni sempre più sofisticate o peregrine”.

A maggior ragione nuova e coraggiosa è l’architettura sottesa al suo ultimo libro Trincea di nuvole e d’ombre - 2019 Marco Saya Editore, dove il titolo, profondamente accattivante e suggestivo, non può non evocare tuttavia un’idea dura di guerra e quindi del corso della storia, macrostoria e piccole vicende umane insieme, l’idea di combattere e di sopravvivere, “l’idea dell’esistere e del resistere, della Storia che è stata e di quella che brulica, ferve, lievita e accade: da qui all’eternità, da oggi a dopodomani…” [dall’Introduzione di Plinio Perilli].

Dalle varie sezioni delle Trincee (che tuttavia non esauriscono l’intera opera) vi propongo alcuni testi: non guido i lettori a nessun tipo di commento, in primo luogo perché le osservazioni sarebbero le mie e non le loro e non mi sembra giusto sovrappormi ad emozioni proprie, irrepetibili e personalissime. In secondo luogo non sono ipotetici commentatori, ma sono i versi che parlano, per quello che dicono e per quello che fanno solo intuire, per quello che sanno ispirare, talora al di là di quanto voluto dall’autore stesso, per il senso estetico ed etico di pienezza da cui il lettore, talvolta, si sente completato, comprendendo fino in fondo, anche se magari per un momento isolato, il senso della Bellezza e della funzione catartica dell’Arte.


Dalla sezione Trincea dell’ombra:


Le ombre in trincea sotto nubi

dalle mutevoli forme: le guardano

a tratti, quale presagio di quel che accade

a terra


dove scorrono fiumi

e tutto sgorga dall'acqua,

dove colano scorie

ingannevoli anche del cielo.


Dove tutto stagna. Zampilla.

E passa.


*


Ombra perenne mobile e ferma,

vagheggi anche tu longevità. Piovono

scorie e meteore come stelle cadenti.


Tanto più simile, tanto più distante.

Sei solo mia.

Sagoma muta fedele sopravvivi

alla trincea dell'io.


Da Trincea del quotidiano:


Ogni giorno vesto l'armatura

porto anche l'arco, le frecce, lo scudo,

indosso il casco come l'elmo di Scipio,

e qualunque copricapo, variabile come il tempo,

a proteggere la testa, così instabile


riecheggia e suona ogni dì una musica nuova

scompigliata e dilatata melodia d'accadimenti,

ordinata cabaletta di ricordi, stanzetta di memoria,

sempre a passo lieve e piè veloce in un dove presente

ma lontano, umido e vischioso, dove perdo

ad ogni semaforo dell'armatura un tratto


e mi chiedo dove sto andando, dove vanno

tutti gli elementi, tutte le particelle della vestitura,

granelli che frantumano sotto i ponti lungo fiume

o fondigli a disciogliersi in mare,

a sfaldarsi in una risacca solo mia,


ma è di tutti la stessa domanda


se qualcosa di noi si salva dalla dimenticanza,

se in quel dopo a disperdersi a terra

c'è pace.


Da Trincea della parola:


Cicala d'ottobre


Non dovresti essere qui,

cicala che parli alla sera d'ottobre,

ma quale il tuo Tempo?

che ne è stato

del soggiorno d'estate che perdura?

il tuo canto stordisce

come demenza innaturale

quale balbettio,

quale nulla da compiere.


Il tuo suono è recondito,

non ha riposo, non si estingue

il tuo ritmo e insiste muto.


Forse tu sola sai la lingua nuova

dell'inverno. Quando giungerà,

barbara e mistilingue,

irriderai ai primitivi gesti,

alle bocche di stupore,

alla pallida neve della pagina.


Da Trincea dei poeti:


Poeti russi


Chi più di Voi la trincea

del giorno

e la sua inconsistenza,


il buio, il demone

che non cede

al sorriso dell'Angelo.


Voi e la terra

che non torna

dall'imperscrutabile mare.


Voi

saliva e parola come stalattiti.


Chi più di Voi la neve.


Vorrei che queste episodiche letture suscitassero una sana, interessata curiosità a sapere di più dell’opera e dell’autrice. Marzia Spinelli è nata e vive a Roma, ove lavora presso un Ente pubblico. Collabora e scrive su riviste importanti di letteratura ed arte.

Io non la conosco personalmente, ma dai suoi versi mi piace immaginarla come creatura semplice e sincera, schiva, come tutte le persone di grande spessore e profondità umana, prima che culturale. Una persona che sa vivere perché in lei cuore e mente, faticosamente imbrigliate attraverso le trincee dell’esistenza, hanno trovato equilibrio.

    

                                                                                                                  Marvi del Pozzo




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