Lorenzo Poggi tra edito e inedito
Dopo una vita di lavoro giornalistico come caporedattore e poi direttore responsabile di testi di natura tecnica, di organigrammi politico-amministrativi per istituzioni ed Enti locali, Lorenzo Poggi, autore romano, è tornato alla più libera (e liberatoria) attività poetica, passione di tutta la vita. Passione che ora trova compiuta manifestazione in una vena lirica di respiro fantasioso, ma anche concreta, aperta come è ad ogni problematica umana, sia sotto l’aspetto esistenziale, sia sotto quello civile e sociale. È una poesia che conquista il lettore per arditezza di metafore, per immediatezza di immagini (colori, profumi, paesaggi naturali di grande fascino), ma non ci si ferma lì: dall’autore è sempre previsto uno stimolo alla riflessione autonoma del lettore su problematiche che coinvolgono tutti: civili, sociali, di politica mondiale, improrogabilmente dettate dall’attualità , si tratti dell’immigrazione, della sopravvivenza del pianeta, del contenimento responsabile di morbi o malattie.
Il suo più recente libro, pubblicato da La vita felice nel novembre 2019, ha un titolo non certo accattivante e decisamente poco poetico, ma fortemente voluto dall’autore: La nausetudine, cioè l’abitudine alla nausea dei nostri giorni in cui, pur provando questa sgradevole sensazione per la quale in genere non c’è assuefazione, all’opposto invece oggi, purtroppo, si crea abitudine. Ogni aberrazione, ogni crimine della nostra società rischia di scivolarci addosso come olio sul marmo, come fossimo ormai impossibilitati ad ogni reazione, come ogni evento non ci potesse più riguardare da vicino. È un atteggiamento di irresponsabile fatalismo, che porta alla paralisi della coscienza personale di fronte alla vita: ne deriva la pericolosa abitudine di demandare ogni scelta civile ad altri, di cui si può diventare, quasi inconsciamente, gravemente correi. Nella migliore delle ipotesi è la pigrizia mentale ad impedirci la fatica del pensare. La dilagante faciloneria e il presappochismo dei nostri tempi fanno il resto, ottundendo le coscienze tramite proposte di vita e di svago omologate su criteri sempre acritici, sicché l’eventuale fruitore è condotto per mano a seguire pedissequamente nel piccolo o nel grande, per situazioni minime o di grande rilevanza, la scelta più appetibile e facile, o quella di chi si impone gridando più forte o quella che pare, nell’immediato, maggiormente convincente.
È una melma che t’afferra
quando senti sirene cantare
in pozze di fango
lunghe un mare di parole
che servono solo al rumore che fanno
Concordo col grande impegno morale e civile di Lorenzo Poggi, ma io sono, per gusto personale, più vicina ai suoi momenti poetici di incanto lirico, alla vivezza delle sue coloriture, al fascino di immagini naturali animate da grande freschezza creativa. Propongo quindi alcune poesie di vario tipo: in tutte tuttavia la suggestione delle immagini fornisce al lettore un forte spunto di riflessione, senza perdere l’incanto dell’essenza fantasiosa della poesia.
Assente
Ho perso la voglia
di scrivere un fiore
o di scendere in strada.
M’addormento sul tram
anche se solo in sogno
lo prendo.
Mi fermo a guardare
la goccia che scende
impacciata sui vetri.
L’angoscia del vento
il cielo che urla
la rabbia che ha dentro.
La tela di Penelope
Ho sperato tanto
in millenari risvegli
per assaporare le pietre
che sanno di storia.
Ho disegnato invano
nuvole in cielo
per portare acqua
a questa terra senza memoria.
Rimango stupito
difronte a passioni d’un giorno
e dimenticanze di secoli.
Siamo sempre a cucire lo stesso orlo,
è la tela di Penelope la nostra bandiera.
Non si può più giocare
Mi piaceva scherzare col bordo dell'onda
quando si libra nell'aria a fare merletto,
infilare la faccia nel bianco di spuma
e sentire il mare che percorre la schiena.
Non si può più giocare
ora le onde son carezze di morti.
Poiché Poggi vive a tutto tondo la poesia nelle sue giornate e non la relega a luoghi o a ore deputate, mi piace segnalarvi altri due testi, finora inediti, che ha scritto, il primo, di getto in una serata di insonnia e di raccoglimento meditato su se stesso, il secondo riflettendo velocemente dopo una manifestazione popolare di giovani ecologisti. Due testi snelli ed estemporanei perché, come si sa, la poesia non è mestiere ma modo di essere e chi è poeta, lo è in ogni occasione del vivere, Si comunica prima a se stessi, senza pretese letterarie e senza retorica poi, caso mai, agli altri.
Ho perso la voglia
strada facendo
come mani ritorte
in radici di vita
seccate dal vento.
È rimasta, la voglia,
a brandelli nei rovi
a segnare il passaggio
d'una vita di ardori
persi per strada.
*
Lampioni nella notte
fermi e silenti
fanno la guardia al buio
che non allunghi le dita
negli anfratti già scuri
della nostra coscienza.
Che non diventi un galoppo
agitando vessilli
con la testa di morto
per abbuiare il giorno
per abituarci alla morte
delle nostre idee bambine.