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la poesia di Anna Toscano

Non conosco di persona Anna Toscano, ma le notizie della sua biografia e soprattutto i suoi versi me ne offrono un’immagine sufficientemente chiara: la mia immaginazione fa il resto. Il verosimile creato dalla mente di lettore talora rende le cose più vere del vero, sicuramente la poesia aggiunge al fascino della parola acuta e precisa anche la suggestione evocativa, che lascia spazio all’apporto fantasioso di chi legge, dà l’autenticità di un ritratto in contemporanea col sorriso imprecisato, un po’ misterioso, dei dipinti leonardeschi.

Di concreto di Anna Toscano possiamo raccontare la personalità artistica, creativa a trecentosessanta gradi: specializzata in Scienze del linguaggio, vive ed insegna a Venezia a Ca’ Foscari, scrive per il magazine del Sole 24 ore, collabora ad altre testate giornalistiche. Ideatrice di iniziative culturali in campo letterario, ha condotto trasmissioni radiofoniche, segue la curatela di cataloghi e libri di poesia per case editrici. È un’intellettuale a tutto tondo, ma il suo sapere si sposa ad una vita d’artista eclettica e varia, sviluppata in vari campi.

Oggi a noi interessano particolarmente i volumi di poesia:

 

Doso la polvere,                    La Vita Felice 2012

Una telefonata di mattina, La Vita Felice 2016

Al buffet con la morte,        La Vita Felice 2018

 

Va detto tuttavia che è fotografa apprezzatissima in mostre personali e su riviste, manifesti pubblicitari. La sua esperienza creativa tocca anche il teatro, grazie a spettacoli itineranti, in cui propone problematiche e figure di grande rilievo civile.

 

Come si esprime in poesia una personalità così ricca e complessa, piena di passione per la vita che vive con mille sfaccettature, tutte di grande rilievo?

Per questione di spazio propongo una piccola scelta di testi, privilegiando le raccolte del 2012 e del 2016. È puramente una questione di gusto personale. Il volume del 2018, Al buffet con la morte lo considero troppo monocorde: la tematica della morte, così insistita sui toni del disfacimento umano in ogni componimento, assume - a mio parere - caratteri macabri e talora nichilisti che, alieni dalla mia visione dell’essere e del morire, preferisco non commentare. Mi sembrerebbe scorretto, sicuramente poco oggettivo, il farlo. Alla mia mentalità, infatti, pare che anziché esorcizzare eventuali paure, si acuisca e si alimenti questa forma di tabù della nostra società, né alcuni sprazzi di ironia possano valere a sminuirlo. Ma questa, ripeto, è l’opinione di una singola lettrice tra mille, che lascia il tempo che trova ed è giusto così.

 

E poi ci sono i luoghi

 

E poi ci sono i luoghi,

quel bar della stazione

a Milano

mica era come ora,

era

come allora.

 

Avevo un amore

 

Avevo un amore,

molto amato,

che teorizzava

la sostituzione del cuore

con un sacchetto:

«per vuotarlo quando

è troppo colmo» diceva.

Io gli rispondevo

che dentro al costato

tenevo della moquette

a forma di cuore,

certo marca Ikea.

Alla fine della storia

lui ha svuotato il sacchetto,

io ho passato l'aspirapolvere,

le cicatrici le ho rammendate

forse con del filo spinato.

 

Quando

 

Quando ero giovane

non usavo creme

era una perdita di tempo,

non usavo protezione

tanto non serve,

non leggevo etichette

tanto son tutte uguali.

Oggi, che mi affanno

a spalmare e stendere

che mi concentro

nel tamponare il tempo

oggi, che per le istruzioni

mi avvicino alla luce

e inforco gli occhiali

oggi, ripenso a Prévert

che leggevo a sedici anni

senza sapere il tempo

e conoscerne gli inganni,

Prévert scriveva che si sa

la giovinezza

quando non c'è più.

E spalmo e imburro

e stendo e olio,

rendo morbidi i ricordi.

 

Che cosa mi ha colpito in positivo delle poesie che vi ho proposto?

La forma lapidaria, breve come un sospiro, di E poi ci sono i luoghi. Non è facile arrivare all’essenzialità di un dire discorsivo, quotidiano, ma tanto fulminante e coinvolgente. Ci si ritrova tutti, con diverse forme di nostalgia: può essere rimpianto, può essere struggimento, può essere una forma di saudade portoghese, può essere un ricordo tanto da lontano come dal di fuori... Però ci si riconosce davvero in questa verità incisiva.

La stessa emotività instillata dal percorso del tempo su di noi ritroviamo in Quando. Amo la poesia che arriva al generale partendo dai piccoli fatti della quotidianità spicciola. Anch’io, più anziana di Anna Toscano, “rendo morbidi i ricordi” di una giovinezza appassita, “tamponando il tempo” con creme, olii, cosmetici, pur sapendo che alla mia età “tutto serve e nulla serve”, come dice un proverbio che non considera tuttavia la dolcezza formale del placebo. È bello l’effetto visivo, quasi di drammatizzazione teatrale o cinematografica di questo testo di ironia dolce-amara, veramente mirabile.

Nel settore degli affetti ho segnalato Avevo un amore.

Mi ha colpito l’originalità delle similitudini, l’ironia, ormai distaccata da sembrare quasi dolce, se non fosse per quel filo spinatodell’ultimo verso con cui tutti noi, nella vita, abbiamo ricucito le nostre ferite del cuore, senza sapere esprimere il concetto con versi tanto potenti in immagine.

 

Ti ho cercata

                 a mia mamma

Ti ho cercata

nel tic tac del tuo orologio rosso

ti ho cercata

tra i tasti del tuo telefono blu

ti ho cercata

tra i cuori della tua coperta colorata

ti ho cercata

attraverso le lenti dei tuoi occhiali

ho rovistato

tra i miei ricordi grigi mal chiusi

ho annaspato

su cassetti che non si aprono

ho pianto

tra i tuoi golfini marrone

e poi ho capito.

 

Ho capito

che stai al di là della soglia

oltre la distanza

perché io non avrò paura

sapendo che mi aspetti.

 

Ultime cose

 

L'ultima immagine che avrò di te

sarà il tuo corpo consunto dal tempo

la tua mano ossuta nella mia

la penombra e l'odore di chiuso della tua stanza.

 

Le ultime parole che avrò da te

saranno vai che è tardi e perdi il treno

il tuo volto affondato nel cuscino

il respiro affannato di chi non trova il sonno.

 

Le ultime parole che dirò a te

saranno no nonna dormo qui stanotte

ma tu no non salire su quel treno

senza avermi raccontato ancora di quella volta che.

 

Per ogni amore che muore

 

Per ogni amore che muore

bisogna piantare dei semi

di cicoria, di girasole, di viola,

nel primo vaso libero

nel primo angolo di terra.

 

Non ha un senso non serve a nulla

se non a tenere un po' di bellezza

nel mondo, di quella bellezza

senza sintomo, indolore.

 

Mentre nella pelle rimangono

impronte, sapori, odori.

 

Restano indelebili gli abbozzi di ritratto di mamma e nonna in Ti ho cercata e in Ultime cose. In Ti ho cercata la forza della ripetitività di questa anafora dà una ritmica fiabesca, il cantabile delle filastrocche dell’infanzia - sette paia di scarpe ho consumato, sette fiaschi di lacrime ho versato -. Lei, che fotografa per lo più in bianco e nero, per la madre rievoca una realtà di vita tutta colorata: rosso, blu, grigi, marrone, tutte le sfumature dell’iride.  L’affetto materno del resto è sempre colorato e vince ogni cupezza di dolore e di morte.

Il calore e l’umanità di Ultime cose sono indescrivibili. È un componimento, a parer mio, di semplicità e di rara perfezione allo stesso tempo. Questo sta a dimostrare che non è necessaria, per essere grandi in poesia, la ricerca di forme astruse, con complicazioni stilistiche e profluvi di figure retoriche ad ogni verso; eppure il “trobar clus”, come il neo barocchismo del resto, sembra andare particolarmente di moda in questi tempi.

Come magistralmente ha messo in luce nella Prefazione Anna Maria Carpi, ho anch’io trovato una soluzione poetica efficacissima la conclusione di Ultime cose, in cui l’interruzione della frase finale, di intonazione familiare, direi quasi infantile nel rapporto nonna nipotina, ben sintetizza, anzi diventa figura della sospensione del momento in cui la morte della nonna interromperà col suo mistero, momentaneamente e non per l’eternità, la consuetudine affettuosa del dialogo e della vita.

 

Come ultimo testo ho inserito Per ogni amore che muore come corollario alle precedenti poesie per la mamma e la nonna. Ogni amore perso, non necessariamente quello per un uomo, infatti, dovrebbe portare con sé un retaggio di natura, di colore, di bellezza semplice, di istintiva naturalità nel mondo. Ogni affetto dovrebbe lasciare un seme di colore, di vita, di gioia, da potere essere colto dai sensi e dall’anima di ognuno. Solo così può nascere e propagarsi la condivisione del bello, l’empatia nel mondo. Certo restano, in chi ha perduto gli affetti, segnali più dolorosi e segreti, ricordi sfumati e perenni nello stesso modo, quelli che non si possono condividere con altri perché toccano una sfera troppo intima: la stretta dell’abbraccio del proprio uomo, proprio quella lì e non un’altra, il profumo di talco appassito della vecchia nonna, il sapore di latte e miele della mamma della nostra infanzia, che ricordiamo sempre come prioritario, anche se nostra madre profumasse ogni giorno di Dior, le pastiglie alla liquirizia dell’amica scomparsa. È bello quando, in termini semplici, un poeta ti spinge a guardare in faccia la verità segreta delle cose: l’abbiamo sotto gli occhi, ma da soli non riusciamo a scorgerla. È così.

 

Credo che non ci sia bisogno di ulteriori parole: la poesia parla da sé, come ogni forma vera di arte e di bellezza. Da queste poche annotazioni il lettore saprà scoprire tanto d’altro.

I libri di Anna Toscano meritano lettori appassionati ed attenti.


Marvi del Pozzo

 

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