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Angela Suppo, "Senza indicazione di Tempo" (Ed. La Vita Felice 2019)

Adolescenza 


Come è audace


il papavero


che, a marzo, alza la testa!




Adolescente impudente,


frettoloso di vita,


inquieta il prato


di primavera.




***




Le rane di primavera




Le rane fornicatrici


delle notti di primavera


annunciano la loro stagione.




Anche per noi:


inteneriti ascoltiamo,


nel quieto delle coperte,


uniti dal nostro autunno.




***




Montegrazie respira


dietro le porte.


Verdi come pensieri,


freschi di alberi e sole.




Montegrazie invecchia


i suoi vecchi e stupisce di bambini.




Montegrazie mi regala


chiarore di aria e di foglie.




Innamorata mi affaccio:


creature vegetali, e il mio geco,


guizzanti pennellate di verde su verde,


si illuminano al sole.




***




Lascia crescere la cicoria:


non darmi foglie ignave


e piccolette,


ma il crocchio vegetale


che sai,


e olio e aceto e sale.




Dammi il tepore


della terra nuova,


e in campi girasoli


che il caldo innamora,


e abbatte di desiderio.




Dammi terra matura


e campi di silenzio, e alberi lontani


per ascoltare il vento.




***




Separazione




Te ne sei andato.




Le tue cose raccolte dal cassetto,


nelle valigie delle vacanze,


(più non saranno:


bagagli e luoghi diversi –  io spero –


ci attendono).




Dopo ho spostato il tavolo,


le sedie.


Dopo ho spostato mobili


e disappeso quadri.




Potrei, oggi, rivoltare la casa,


come se anche la mia anima,


leggera, componibile,


io potessi rovesciare,


e cancellare,


e cancellarti.




***




Storia di luglio




In quella città – diceva –


¬abbiamo camminato


sotto portici e logge,


e conversato, la sera,


tra bicchieri, scoppi di risa,


frammenti di pensieri.




Ci bastava tacere


per seguire il sentiero


della mente dell'altro,


e consentire ai confini


datati di una storia,


già tutta affidata alla memoria,


in uno scatto di fotografia,


senza diritto alla malinconia.




***




Ex




Come amante sei stato


il solito pretesto sbagliato,


per dire che non va.




Un uomo scelto a caso,


forse desiderato


per sfida e farsi male.




Come amante


non certo dei migliori,


avaro di fiori


e di parole,


prodigo solo di gambe


sotto i tavoli.






Oggi vi presento alcune poesie di Angela Suppo, tratte dal suo primo libro Senza indicazione di tempo, Edizioni La vita felice 2019.


E’ il canto libero, senza condizionamenti, senza appartenenza, di chi con sguardo poetico ed attento considera le esperienze vissute in una parte considerevole della vita con l’occhio equilibrato di chi è già andato oltre, superando gli scogli dolorosi del tempo e parla quindi a se stessa ed agli altri cogliendo, senza più acrimonia ma con saggezza ed armonia, spesso addirittura con stupore bambino, i giochi della vita e la sconcertante epopea di tutti noi che svolgiamo un percorso del vivere più o meno analogo seppur variabile negli eventi spiccioli delle diverse vicende.


Ma il tempo di Angela non è solo soggettivo, anche se molta parte ha quello della sua prima giovinezza, delle scoperte, della natura con cui imbastisce accordi affettuosi, di cui ama investigare la vita segreta al fine di percepirne, o almeno intuirne, l’essenza. Le risposte arrivano da anima ad anima attraverso la misteriosa corrispondenza panica insita nelle creature, in tutte, siano esse vegetali od animali, o anche appartenenti a mondi solo apparentemente amorfi e senza storia come il mondo delle cose, degli oggetti.


C’è poi il tempo del ricordo, quello dolce e quello amaro, quello dell’autocritica, quello dell’ironia sugli altri e su noi stessi. C’è il momento in cui disseppelliamo i nostri fantasmi, c’è quello in cui ci ritroviamo altro da noi perché i decenni passati ci hanno mutato dentro e fuori e soffriamo quindi di questo mancato riconoscimento di noi stessi; altri momenti viceversa in cui quasi anacronisticamente ci riscopriamo magicamente identici al noi di vari decenni prima, come non ci fossimo mai mossi dall’adolescenza, con la stessa indistruttibile passione di agire, di sentire, di amare, di godere la vita e ci sentiamo padroni, col mondo in pugno come allora, in preda ad un sentimento di onnipotenza per ricchezza di emozioni e di passioni uguali come un tempo.


Tutti questi momenti di tempo esistenziale trovano spazio nelle poesie di Angela, ma c’è anche in lei un estrinsecarsi diverso del concetto di tempo.  C’è infatti il tempo come entità metafisica, quello che non ha bisogno del controllo dell’orologio, c’è la ricerca di un’eternità possibile, c’è il tempo dilatato della preghiera nella realtà di un Dio che non risponde ma la cui presenza si ricerca e che continua ad aleggiare senza preclusione di tempo, senza valutazione di ore, mesi, anni o vita intera. E’ la ricerca di un senso ultimo, la risposta a dubbi che durano da sempre, cui forse non c’è risposta mai, logicamente parlando. Ma c’è anche la stagione metereologica che si eternizza al di là del trascorrere del mese, dell’anno in corso: “il papavero audace, adolescente, impudente che a marzo alza la testa”, come dicono i versi, vivrà per sempre, per tutti i mesi di marzo possibili, a venire, nella mente del lettore, evocando altri quadri di incanto e altre suggestioni antropomorfe, così come le “rane fornicatrici” vivranno ben al di là della loro vita limitata in quello stagno, in quel serbatoio d’acqua, in quel momento storico preciso ed ormai andato e consumato. E’ la bacchetta magica della poesia, quella del poeta rabdomante che anima le cose  insufflandovi la vita e spariglia le carte della logica perché esiste un sapere intuitivo ed emozionale.


Angela Suppo vivifica il mondo intorno a sé con la sua arte e mette in pratica, in modo quanto mai contemporaneo, l’assunto del poeta tedesco dell’Ottocento Joseph von Eichendorff. Lui era un romantico, Angela certo che no, però l’effetto della poesia era quello e resta quello. Diceva von Eichendorff in una sua poesia:




Dorme un canto in ogni cosa


destinata a sognare senza fine


se trovi la magia della parola


il mondo allora innalzerà il suo canto




Angela la magia della parola la conosce bene: rende il ricordo realtà attuale e, viceversa, riempie la realtà di elementi immaginifici, talora onirici, misteriosi, sfuggenti, sempre comunque intriganti.




Ma di cosa è fatta la poesia di Angela, quale la sua cifra caratteristica? L’ha ben individuata la prefazione del poeta Giuseppe Conte, che con il suo acume e la grande esperienza poetica ha colto nella “grazia” dell’autrice la peculiarità determinante il percorso poetico del libro. Sono del tutto d’accordo: la musicalità, il ritmo scandito, l’originalità delle figure, i registri linguistici sono di raro equilibrio: non una parola disturbante, non un termine lessicale che possa essere privo di garbo, signorilità, che rasenti qualcosa di dozzinale, che si avvicini alla banalità, quando non alla volgarità, dei tempi. E’ poesia raffinata e sapiente, giocata però su un linguaggio lapidario e contemporaneo, su figure di bellezza ardita ma in un dire essenziale, sempre estremamente sintetico, preciso – “giusto” avrebbe detto Flaubert – sempre alla ricerca della parola unica, pregnante al massimo. E’ difficile ottenere in questa forma così stringata una tale capacità di evocazione, di suggestione del lettore che aggiunge di suo le immagini proprie, ricordi a ricordi, il cumulo e l’accumulo delle proprie fantasie. E il lettore si appropria del testo e lo fa suo: la fulmineità e l’arditezza entrano nel cuore di chi legge con totale ed immediata autenticità.


Il bello di questa poesia è che nessuno può mettere in dubbio la sincerità del sentire di Angela. Lei scrive per comunicare se stessa, mettendo a nudo, anche talora coraggiosamente, il suo modo di essere vitale, schietta, talora con un briciolo di sensualità e di provocatorietà, a suo modo fanciullescamente innocente. E anche qui è questione di “grazia”, lo capite bene.


A proposito di quanto detto, noterete anche voi dalla lettura dei testi la varietà delle sfaccettature di questa poesia, la mutevolezza e la ricchezza dei registri stilistici. L’autrice, abbiamo convenuto, è gentile nel suo approccio col mondo, elegante, raffinata, misurata lessicalmente e stilisticamente, ma talora è più che ironica, è mordace, persino caustica, assai vicina al sarcasmo. Il tutto sempre in brevi, lapidari versi.


La scelta dei testi che vi propongo può risultare disorientante per chi legge: è concepita proprio perché tocchiate con mano la varietà delle atmosfere che l’autrice riesce a creare, mutando quasi di personalità. Ma nessuno di noi è uniforme, sempre identico a se stesso nel variare continuo del tempo, delle circostanze, dei rapporti col mondo e con le cose. Questo è il fascino della persona umana e del fluire della vita fin dai tempi di Eraclito e del suo “panta rei”.




In una precedente lettura condivisa proponevo un testo di Giuseppe Conte sostenendo che la poesia, quando è autentica, lascia un solco destinato a dare frutti in avvenire tramite altra futura poesia. Si costituisce così un anello basilare nella circolarità di un ritorno di riferimenti culturali ed umani che legano passato  e presente letterario.


Ebbene Angela Suppo porta avanti nei suoi versi, a parer mio, l’atmosfera affettiva colloquiale del migliore Attilio Bertolucci, ma anche la verve ironica, di lapidaria attualità, di Daria Menicanti, poetessa della metà del Novecento, in quest’ultimo decennio riscoperta e profondamente rivalutata. Mi piace dunque avvicinare alle letture di Angela di Montegrazie respira e di Lascia crescere la cicoria il testo di Attilio Bertolucci che vi riporto qui di seguito:




                                              


At home




Il sole lentamente si sposta


sulla nostra vita, sulla paziente


storia dei giorni che un mite


calore accende, d'affetti e di memorie.




A quest'ora meridiana


lo spaniel invecchia sul mattone


tiepido, il tuo cappello di paglia


s'allontana nell'ombra della casa.




Affianco anche a Separazione, Storia di luglio ed Ex di Angela i seguenti versi di Daria Menicanti:               


A Venezia con uno




… Questa


era Venezia quel giorno, città


per innamorati e poeti. Io non ero


né l’una cosa né l’altra


o non più.


Ero spietata e asciutta. Gli ridevo


in faccia


e tutto mi faceva ira.




***


                                              


Vivere è




Vivere è non sapere le ragioni.


Dopo un silenzio da contarsi a mesi


o anni, questa sera


ho una cena ridente affollata.


Al vino amaro si riscalda, a belle


donne, alle rose alte la cena.


Seduta accanto a lui, commensale adulato,


mi sento al sole. Affilo le mie spade


per la prima apertura di guardia.


Vivere è tutti i giorni cominciare.




                                               ***


                                              


Ultimo




Qualcuno va a nozze. Gran gente


al party. Io so che anche tu


ci sei che neppure ti cerco.


Giro di gruppo in gruppo ridendo


evitando tartine aperitivi.


Sono sicura che a un momento dato


mi sarai accanto tu denso tu oscuro


uomo solo e roccioso


col bicchiere gelato color erbe.


un veleno di più. Da ieri


so come sei e tu come sono io


e c'è questo fra noi filo non visto


così tiepido e dolce, tranquillo.


Io ti prendo con gli occhi. ti chiudo


dentro le palpebre e, Dio,


grazie per quest'ultimo amore.




E’ un suggerimento all’analisi e alla libera riflessione di chi voglia condividere questa rubrica con me. I legami e le interrelazioni tra poeti del passato e del presente si moltiplicano in un tempo di lettura che viene ad eternarsi nell’incantamento dell’arte.





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