"Congiunzioni e rimarginature" e "Proprietà dell'attesa" di Giuseppe Vetromile
"Congiunzioni e rimarginature" (Scuderi Ed.2015) e
"Proprietà dell'attesa" (RPlibri 2020) di Giuseppe Vetromile
Giuseppe Vetromile, napoletano, svolge la sua attività letteraria a Sant’Anastasia (NA) ove vive da una quarantina d’anni. Poeta e infaticabile operatore culturale, realizza Festival di poesia, è fondatore di circoli culturali, di blog letterari in rete (tra cui Transiti poetici), cura antologie, promuove rassegne e incontri tra letterati e poeti.
La sua indole generosa lo porta ad essere così attento agli altri e così prodigo verso nuovi talenti che spesso egli stesso si dimentica di sé, in assoluto atteggiamento di modestia, non promuove a sufficienza il suo lavoro di autore proteso a dedicarsi a organizzare ad ampio raggio per gli altri. Ed è così che, suggestionata dal suo comportamento pubblico, socialmente aperto, ho trascurato anch’io finora di parlare della sua poesia, che mi è scivolata nel silenzio del suo carattere schivo. Questa sua poesia, apprezzata e pluripremiata dagli addetti ai lavori, ma poco appariscente, ha la luminosità, l’altezza, la tessitura di mente e di cuore della poesia più raffinata, quella che vale la pena di conoscere e di fare amare intorno a noi. Si vive attraverso la storia: la macrostoria degli eventi eclatanti dell’umanità e la microstoria degli avvenimenti personali, come le vicende familiari, la storia delle proprie origini, il percorso di chi ci ha preceduto, ci ha dato esempi, valori e comunque l’imprinting di quello che siamo. Tutto questo, a nostra volta, vorremmo trasmettere a chi verrà dopo di noi, figli e nipoti in primo luogo, naturalmente, ma anche – in modo più generico – alle generazioni future, forse perché i nostri valori tradizionali trascendono le persone e, forse, perché vorremmo restasse un po’ di noi nel tempo.
Ogni mio volume di poesia ha nel frontespizio, riportato a mano da me, un pensiero poetico, che ho fatto mio, di qualche poeta a me caro. La logica delle nuvole, ultimo libro pubblicato, presenta questi versi di Ghiannis Ritsos (da Il guardiano del faro):
Esiste sempre il modo
di donare qualcosa
e forse di restare anche noi
con quello che doniamo
Incredibile consonanza non solo col mio pensiero, ma col sentire di Giuseppe Vetromile.
Egli sviluppa poeticamente la ricerca della propria storia personale in due mirabili libri. Nel primo – Congiunzioni e rimarginature, Scuderi Editrice 2015 – protagonisti sono padre e madre, predecessori, ormai ombre, presenze vive tuttavia nell’esistenza del figlio “che non interrompe la lunga catena del creato e della vita” [dall’Introduzione dell’autore]. La penna del poeta sottrae ‘quel’ vissuto alle intemperie del tempo materiale: è un modo per eternare l’agire umano al di là dell’esistenza concreta delle persone che sono scomparse e, allo stesso modo, di collegare le generazioni, passate - presenti - future, nel fluire del tempo.
La mano già sulla valigia
La mano già sulla valigia mi dicesti dunque
io parto
ma tu non seguirmi e
non cospargere di petali la scia d'amore che ti lascio
e neppure rendimi le parole che ti ho fatto
misura del tuo corpo
figlio
perché un giorno tu possa convertirle in inchiostro indelebile
sulla tua pelle pellegrina
Allora non ti vidi più
padre
come risucchiato dal cielo
o confuso nella terra
sparito dalla stanza
e il tempo è un'invenzione per crederti ancora qui
seduto sulla tua poltrona preferita
accanto alla radio a galena di tua costruzione
(ti piacevano i rottami del mercatino delle pulci
che tu rimettevi a nuovo come per incanto)
Partisti allora sì
ma per lidi tenebrosi e speranzosi
quando l'afa di agosto era già alle porte
ti seguii fino all'orizzonte senza luce
una goccia di rugiada si scioglieva
e il sole ignaro un'altra volta all'alba
risorgeva
Mia madre aduna ancora le sue forze
Mia madre aduna ancora le sue forze
in questa baracca d'ossa che le è rimasta
frastagliata dalla vita in giù
e scricchiolante e in bilico
sui novant'anni e passa
della sua esistenza
Ed io non so più quale rumore ella avverta
nel fragore del silenzio tra le orecchie
sorde dalla nascita
quale melodia batta ancora nel suo cuore antico
e ultimo di tanti suoi ventricoli
inanellati ai grandi vecchi del passato
(suo padre e sua madre dalle tele appese
sopra l'étagère
hanno ancora sguardi fieri e attenti
immobili nel tempo)
Mia madre è un campo di battaglia
ancora frequentato dai dottori
che a stento riescono a fornirle
qualche appiglio fino all'orizzonte
Ma io so che ama i sogni e il paradiso
Dice infatti raccontandomi le sue visioni:
io tranquilla aspetto qui che si riapra
quella finestra nella camera da letto
per vedere come veramente è fatto l'universo
per sentire finalmente di cosa è fatta
la voce di Dio
Dei vestimenti dismessi
Dall'armadio alla pelle è solo un transito minimo
: sono gli abiti che ci dicono il giro da farsi
ogni giorno
e la vita non è che un cambiarsi continuo la camicia
senza mai sapere di che veramente è vestito
il nostro andare sfumando
*
Ho trovato in fondo al cassetto il vecchio fazzoletto ricamato di papà
nel breve rimediare un mezzo sorriso di ricordo
ho aggiunto quel tassello al mio mosaico familiare
mancava come l'accenno di un addio con la mano che si agitava lenta
quando sapeva che mai più
sarebbe riapparso nella casa
*
Ed anche la cravatta a righe bianche e rosse di traverso
- mai messa per mancanza d'un giusto accoppiamento -
è risultata all'improvviso dietro la giacca
appesa ad una gruccia
sarà il caso forse che l'indossi
una volta tanto e senza remore
così
giusto per una fugace apparizione
e poi dichiararla persa
nel sacco degli indumenti smessi
come qualche volta accade
per i vecchi stanchi e depressi
*
Un completo grigio fumo che più non mi va
veramente non mi è mai andato giusto
era sbagliata la taglia fin dall'acquisto
ora giace sbilenco nell'armadio
come se volesse fuggire via pentito
o pieno di vergogna
ieri vi sono stato dentro per una prova
ma - ahimè! - lo sapevo già che sarebbe stato
tutto inutile
perché la giacca non s'abbottonava
e la lampo dei pantaloni rimaneva
a metà strada
ho realizzato di non essere più io
ma l'aria che dentro quel vestito
cercava sfogo in qualche modo
verso il paradiso
Dentro casa
Dentro casa non ho l'altezza delle pareti
mi appiattisco dunque sul pavimento per sentire meglio
il suono della terra proveniente dall'altra parte
della mattonella
io così evito il blablà dei condòmini tutti
reclusi nei metriquadri a loro spettanti
come unità immobiliare unica fede
del loro ancorarsi qui sulla costruzione
palazzo massimo con comodità ad ufo
mentre si stacca remota un'ala trasparente
nel consunto volo d'angoscia slargato
sui millenari perché
(ed io sono e dove sono e dove vado
ma perché)
Sciama lontano uno sfilaccio d'anima
e così noi un piede dentro la stanza
una mano fuori tesa
verso l'oltre
in equilibrio instabile
crollerò alla prima morte condominiale
sbalordito sul pianerottolo e incredulo
che si possa così facilmente attraversare
l'abbaino
rovesciarsi nel nulla e
volare verso il centro del creato
raggiungere un immaginabile Dio
mai visto pur stando
di notte
sul tetto a trasalire
Nel secondo libro – Proprietà dell’attesa, RP libri 2020 – il protagonista è l’uomo,ontologicamente parlando, cioè l’autore stesso, che diventa simbolo dell’aleatorietà umana. Sue e di tutti sono le domande esistenziali, suo e di tutti lo snodarsi del vivere in sospensione, tra attese continue di certezze in eventi che restano imponderabili, oscillanti tra gli opposti: serenità e sofferenza, ansie e speranze, preghiere e maledizioni, altezze e abissi, sicurezze e perplessità.
In questo stato ‘fantasmatico’, totalmente incerto, della condizione umana, ove l’inaffidabilità incontrastata impedisce la realizzazione di una felicità che sia ‘durata’ e non questione di pochi attimi isolati, dove la stabilità è proprio data solo dall’attesa, l’autore scandaglia attentamente proprio nella varietà fenomenologica di quest’attendere. È in questa situazione di sconfortante incertezza che Pino, proprio dal caos dell’irrequietezza di pensieri e sentimenti, si eleva con la poesia, fiore miracoloso che nasce inaspettato nelle sterpaglie della labilità. È il canto di un’anima battuta dagli eventi, subissata da domande cui non c’è risposta attendibile, ma esaltata tuttavia dalla voglia di ‘esserci’ comunque, di agire per lasciare un segno, ma anche per realizzarsi in vita con quanto di più alto sia concesso all’uomo: la solidarietà generosa per gli altri, il recupero del ‘meglio’ del passato tramite la musica, l’arte, la bellezza, l’amore. E allora, miracolosamente, nella poesia si sciolgono i nodi del contingente, le antinomie della ragione, le illusioni e le delusioni del vivere, i grovigli dell’anima. Così si può arrivare non solo alla pacificazione con sé stessi, ma alla comprensione del significato del vivere e del morire delle generazioni umane, delle civiltà, della storia, persino delle stelle e delle galassie. Si intuisce che tutto ha un senso e tutto può essere grazia.
Vetromile con la sua poesia realizza quello che era il suo obiettivo nel precedente Congiunzioni e rimarginature: aggiunge la sua ‘maglia’ alla catena del creato e della vita e chi legge le sue poesie non può non ricollegarsi, istintivamente e concettualmente, ai grandissimi che lo hanno preceduto ed evidentemente nutrito di poesia. Penso ai nostri classici, al senso del poetare e del vivere del Foscolo, che trova solo nella speranza di eternità del canto la purificazione dai demoni delle sue illusioni-delusioni, dalle attese franate e dalle speranze incompiute. Penso al Leopardi della solidarietà della Ginestra e dell’amore-amato, nonostante gli estremi inganni degli ultimi Canti.
In questi pensieri – che entrano nell’animo forti, per quanto appena abbozzati, a livello sentimentale, volutamente non elaborati logicamente, perché la poesia è intuizione impalpabile, non è fatta di materia logico-consequenziale – io riconosco la grande lezione, la catena che dai nostri classici arriva fino a Pino Vetromile. Mi incanto al pensiero cui questo poeta per mano mi accompagna: l’intuizione dell’Eterno attraverso le sue parole e quelle di chi ci ha preceduto, in una catena di luce che altri continueranno dopo di noi.
L’attesa è nuda
Vestita di cenere l'attesa cova sotto l'ora del tramonto
Ha proprietà inderogabili come
il tempo che non gira indietro né
lascia passare un grano di dolore
ma lo incastra inesorabile tra me e te
che sei lontana ogni oltre dire
Vestita di carta lacera questa mia ombra
fantasma che aspetta il tempo buono dell'alba
per liquefarsi in certezza quotidiana
per proseguire come se nulla fosse
il viaggio a Itaca
rimossi gli scogli dalla rotta
resa infinita irraggiungibile
la speranza di un abbraccio
Non ti dirò del mio penare
su ignote spiagge provvisorie
né nei porti di fortuna
dove sostare di quando in quando
come vuole il vento o il caso
o l'ardore di un amore dimenticato a poppa
Questa mia attesa è nuda
: sarà così fino al prossimo destino
Non sognare altro che un balzo da qui all'eternità
Assorbirmi questa grande luna sul terrazzo
e non sognare altro che un balzo da qui
all'eternità
: questa notte è così chiara
che tutto mi confonde e mi smateria
Anche la minima parte di certezza
si è sgretolata al raggio diretto dell'astro
qui sulla mia pelle in attesa
Ma verranno druidi a consulto nei boschi
ancestrali
e stabiliranno finalmente il guado
da attraversare in impellenza di vita
giacché troppo si è costruito vanamente
ed ora ogni cosa va rifatta
al biancore candido e innocente della luna
quella che non ha spiegazioni da fornire
quella che sanno gli amanti di sfuggita
quando raccolgono petali di luce
e vanno avanti con l'unico occhio buono
del cuore
Della mia stupida attesa su questo granello impotente del creato
Nel vuoto della sera non c'è alcun sogno restauratore
: chiuso nelle stanze di questo amaro condominio
il tetto è l'unica piattaforma da cui librarsi
nonostante l'assurdità della pesantezza
e il grave delirio del corpo che
declama una lieve tiritera
La favola rimane imprigionata nel fanciullo che ero
ed hic et nunc
mi degrado fino all'intercapedine dell'irrealtà
dove rimane luminosa la mia ipotesi d'uomo
creato dal fato
illo tempore
per essere o non essere
per vivere o morire
Ma noi siamo deflagrati in un incubo immane
orrenda storia è questo cammino che si propaga
fino all'oscuro antro di Sibilla
dove ci diranno il come e il quando
ma non il perché delle cose
o della mia stupida attesa
su questo granello impotente
del creato
Forse è questa l'unica ragione
di questa attesa infinita
di una vita
Ti lascerò le mie rovine nel cassetto della scrivania
in un angolo ben visibile ma discreto
perché tu le possa cantare in un giorno di sole
quando la mia alba si sarà fatta inutile
e gli Altri andranno avanti sulla strada
abbandonandomi indietro
come inutile penombra
Sarai forse tu la mia speranza e la mia fede
un sorriso che si fa eterno nel domani
che mi preparo già adesso
qui su questo ripiano sconsolato
Amore che senso ha la mia poesia
se non questo disperato ardore
che io ti viva dentro
come memoria d'una probabile
esistenza
***
Mi canterai dunque in un giorno di sole?
Dimmi - forse è questa l'unica ragione
di questa attesa infinita
di una vita